Farmeconomia e percorsi terapeutici 2011; 12(3): 107-117

Review

Importanza dell’aderenza al trattamento nella sclerosi multipla: aspetti clinici ed economici

Pharmacoeconomic aspects of poor adherence to treatment in multiple sclerosis management

Mario Eandi 1

1 Cattedra di Farmacologia Clinica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Torino

Abstract

Multiple sclerosis (MS) is a chronic autoimmune disease, which affects the central nervous system and is the leading cause of chronic disability in young adults. Especially in the most common form characterized by relapses and remissions (RRMS), MS is a major burden on the NHS and society at a cost of illness per year for Italy estimated at 1.5 billion euros. The DMT (Disease-Modifying Therapies) when used continuously since the diagnosis of the disease have proved effective in reducing the risk of relapses, slowing the progression of the disease, reducing the consumption of health resources, especially hospitalizations, with a significant savings on healthcare costs. High rates of adherence have been associated with DMT not only to improved clinical performance, but also to a significant reduction in costs associated with the consumption of health resources. Because some recent studies have shown that the use of IFNβ-1a IM leads to better adherence to therapy and a significant savings in hospitalizations, outpatient visits, and also on the access to the PS, it is desirable that in Italy the use of IFNβ-1a IM will become ever greater. In this way, we can assume that we can achieve a significant saving in direct health care costs that affect the NHS, as has been observed in some foreign studies in which adherence to treatment was associated with a reduction in the average annual cost per patient between 33 and 65%.

Keywords

Multiple sclerosis; Disease-Modifying Therapies; Adherence

Corresponding author

Mario Eandi

[email protected]

Disclosure

Il presente lavoro è stato supportato da Biogen Idec Italia.

Introduzione

La sclerosi multipla (SM) è una malattia cronica demielinizzante di tipo autoimmune, che colpisce il sistema nervoso centrale e rappresenta la principale causa di disabilità cronica nei giovani adulti. È stato stimato che circa 2,5-3 milioni di persone nel mondo soffrano di SM con 400.000 casi in Europa e circa 62.900 solo in Italia in cui vengono diagnosticati 1.800-2.000 nuovi casi ogni anno [1]. La sclerosi multipla è caratterizzata da sintomi neurologici di varia entità e gravità, come affaticamento, atassia, disturbi vescicali e intestinali, disturbi sensoriali e alterazioni della vista, i quali comportano nel corso degli anni una progressiva perdita di funzionalità sensoriale e motoria e un progressivo aumento di disabilità [2].

Il grado di disabilità nel paziente con SM viene espresso mediante l’Expanded Disability Status Scale (EDSS) che va da un minimo di 0 in caso di esame neurologico normale (malattia di grado lieve) a un massimo di 10 (morte del paziente per malattia). Nella valutazione clinica il massimo è rappresentato da EDSS = 9,5, ovvero paziente obbligato a letto e totalmente dipendente [3].

Circa l’80% dei pazienti con SM è affetto dalla forma recidivante-remittente (RRMS), caratterizzata da recidive imprevedibili della durata di almeno 24 ore, seguite da periodi di remissioni (parziali o totali) prolungate senza progressione della malattia. Una percentuale variabile tra il 30-50% dei pazienti con RRMS va incontro a una grave forma di SM progressiva secondaria (SPMS), caratterizzata da una degenerazione neurologica progressiva, con o senza sovrapposte recidive, e da un accumulo crescente di disabilità. Infine, una minoranza di pazienti è affetto da gravi forme di SM primaria progressiva (PPMS) o recidivante (PRMS), caratterizzate da un aggravamento progressivo della malattia fin dall’esordio, indipendente dalle recidive [4,5]. Il decorso clinico è variabile e imprevedibile nei diversi pazienti: il 33-50% dei pazienti con RRMS è caratterizzato dal peggioramento di 1 punto o più del punteggio EDSS entro 2-3 anni dalla diagnosi [6], mentre nei pazienti non trattati il grado di disabilità aumenta raggiungendo a 7 anni dall’esordio punteggi EDSS = 4 nel 28% dei casi e EDSS = 6 nel 12,4% dei casi [7].

La sclerosi multipla è una malattia cronica-degenerativa che non ha ancora terapie efficaci in grado di curarla, ma solo farmaci capaci di modificarne il decorso. Lo standard di trattamento è oggi rappresentato da agenti in grado di modificare il decorso della patologia (Disease-Modifying Therapies – DMT) riducendo il tasso di recidive e ritardando la progressione della disabilità. Attualmente, i DMT biologici disponibili per il trattamento della RRSM sono: interferone β-1a per via intramuscolare (IFNβ-1a IM), interferone β-1a per via sottocutanea (IFNβ-1a SC), interferone β-1b per via sottocutanea (IFNβ-1b SC), glatiramer acetato (GA) per via sottocutanea e natalizumab per via endovenosa. Nella SM vengono anche utilizzati come DMT non biologici i seguenti immunosoppressori: mitoxantrone, azatioprina, metotressato e ciclofosfamide. Inoltre, i cortisonici sono impiegati per trattare le recidive e altri farmaci sintomatici vengono usati per correggere il dolore neuropatico, le spasticità, le disfunzioni degli sfinteri, i disturbi depressivi e l’astenia. Nel luglio 2011 l’EMA ha approvato fampridina, il primo farmaco sintomatico per il miglioramento della deambulazione nei pazienti adulti affetti da sclerosi multipla con difficoltà motorie (EDSS 4-7).

In seguito a diagnosi definitiva di SM le indicazioni attuali del disease management della patologia raccomandano di iniziare il trattamento con uno dei DMT di prima linea e di continuare il trattamento possibilmente senza interruzioni [8]. Tra i DMT solo IFNβ-1a IM, IFNβ-1b SC e GA hanno ricevuto indicazione anche in caso di sindrome clinicamente isolata (CIS). Iniziare precocemente un trattamento continuativo con un farmaco DMT può comportare diversi benefici per il paziente affetto da SM, come la riduzione delle recidive, la prevenzione della formazione di nuove lesioni evidenti alla RMN, e una riduzione del tasso di progressione della disabilità [9]. Tuttavia, risultati ottimali si possono ottenere solo effettuando con continuità il trattamento farmacologico.

In questo lavoro presentiamo una breve rassegna degli studi clinici che hanno documentato la correlazione tra aderenza alla terapia, esiti terapeutici del trattamento con DMT e conseguenze economiche per il SSN e la società.

Il costo della sclerosi multipla

Il costo di malattia della sclerosi multipla, malattia cronica e invalidante, è tendenzialmente molto elevato e rappresenta un notevole onere per la società e per il SSN, con un costo sociale annuo che in Italia è stato stimato pari a 2 miliardi e 400 milioni di euro [1] e un costo medio per paziente/anno che aumenta all’aumentare del livello di disabilità [10]. Alcune analisi del costo di malattia della SM in Italia sono state condotte negli ultimi anni utilizzando dati di pazienti afferenti alla rete di centri neurologici specialistici [10,11].

Risorsa

Costo annuo (€/pz)

SD (€/pz)

Costi diretti sanitari

  • Ospedalizzazione
  • Cure ambulatoriali
  • Test e imaging
  • Farmaci

11.111

2.599

1.794

579

6.139

10.398

8.229

2.569

735

5.518

Costi diretti non sanitari

  • Investimenti
  • Servizi
  • Cure informali

16.424

630

1.568

14.226

22.973

2.511

7.068

20.449

Perdita di produttività

  • Assenze brevi dal lavoro
  • Assenze lunghe per malattia
  • Prepensionamento

11.310

1.000

119

10.191

14.162

3.211

1.545

14.524

Costo totale

38.845

32.340

Tabella I. Costi diretti e indiretti associati alla SM in Italia (modificata da Kobelt, 2006 [10])

SD = deviazione standard

Lo studio di Amato e colleghi, condotto nell’ultimo decennio del secolo scorso, ha valutato i costi diretti e indiretti rilevati mediante un apposito questionario compilato da 566 pazienti con SM arruolati presso 44 centri in tutta Italia [11]. In questo campione, il costo indiretto medio per paziente, dovuto a perdita di produttività del paziente e dei caregiver, è risultato essere circa 3,5 volte superiore al costo diretto totale, sanitario e non sanitario. Inoltre, i costi erano significativamente più alti per i pazienti di sesso maschile e aumentavano progressivamente in funzione dell’età, della durata e della gravità della malattia. Inoltre, anche la fase di progressione della malattia comportava costi significativamente più elevati. Questo studio, oltre a dimostrare che i costi indiretti della SM sono tendenzialmente maggiori dei costi diretti, ha contribuito a evidenziare la rilevanza del costo indiretto dei caregiver, spesso nascosto perché costituito dall’assistenza di familiari che devono rinunciare a guadagni. Inoltre, lo studio ha dimostrato che risulta conveniente trattare i pazienti affetti da SM fin dalle prime fasi della malattia per rallentarne la progressione [11].

Un più recente studio multinazionale ha indagato la correlazione tra costi di malattia, utilità e grado di disabilità, in pazienti con SM di nove paesi europei [12]. L’analisi specifica sull’Italia, condotta su 921 pazienti che hanno risposto a un questionario in merito alla propria malattia, ha evidenziato un costo medio per paziente pari a € 38.845, di cui circa il 71% (€ 27.500) imputabile ai costi diretti (sanitari e non sanitari) [10]. La non concordanza tra questi due studi circa il peso relativo attribuito ai costi indiretti dipende dalla diversa classificazione di alcune voci di costo, attribuite nel primo studio ai costi indiretti e nel secondo ai costi diretti non sanitari.

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Figura 1. Distribuzione dei costi per la gestione del paziente con SM (modificato da Kobelt, 2006 [10])

La spesa per farmaci, pur essendo la principale voce tra i costi diretti sanitari, rappresenta solo il 12% della spesa totale. Per quanto riguarda i costi diretti non sanitari la voce di costo che incide maggiormente è rappresentata dalle cure informali (36,6%), mentre l’assenza dal lavoro a lungo termine e il prepensionamento rappresentano la principale voce dei costi indiretti dovuti a perdita di produttività (Tabella I e Figura 1). Costi e utilità sono risultati essere altamente correlati con la gravità della malattia. Il costo totale medio di malattia per paziente variava di circa 5-6 volte passando dal valore di € 12.000, quando il paziente presentava uno score EDSS = 0-1, al valore di € 57.000 o € 71.000 quando lo score EDSS era elevato e raggiungeva rispettivamente 7 o 8 punti. I costi diretti sanitari, tuttavia, aumentavano solo in misura limitata con il peggioramento della malattia, mentre la perdita di produttività aumentava di circa 12 volte (Figura 2). Analogamente, l’utilità peggiorava annualmente di 0,3 QALY con l’aggravarsi della malattia [10]. L’analisi ha preso in esame anche l’aumento di costi e la perdita di utilità associati alle recidive di malattia. Nei pazienti con score EDSS < 5, una recidiva di SM nell’arco di tre mesi comportava un incremento di costo di circa € 4.000 e una perdita di utilità di 0,18 unità. In generale, nei pazienti con recidiva, rispetto ai pazienti senza recidiva di analoga età e sesso, sono stati evidenziati costi diretti 3,5 volte maggiori e costi indiretti doppi [10].

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Figura 2. Aumento del costo medio per paziente/anno all’aumentare del livello di disabilità dei pazienti (modificato da Kobelt, 2006 [10])

Un risultato simile è emerso anche da una recente review sui costi della sclerosi multipla che ha preso in esame i dati relativi a 10 paesi europei, Italia compresa [13]. Anche in questo caso si è osservato che quasi tutte le voci di costo coinvolte nella gestione della malattia aumentano considerevolmente nel corso di recidive. In particolare, i costi relativi alle ospedalizzazioni e alle visite ambulatoriali sono risultate più che duplicate.

I costi diretti sanitari indotti dai pazienti con SM in Italia sono stati oggetto di un recente studio di Berto e colleghi che ha analizzato le modalità di cura dei pazienti con SM, il consumo di risorse sanitarie e i relativi costi a carico del SSN italiano, focalizzando l’attenzione soprattutto sui costi dei trattamenti farmacologici [14]. Utilizzando un apposito questionario, esperti di SM hanno estratto i dati dalle cartelle cliniche di tutti i pazienti con SM assistiti nel corso del 2009 presso i principali 10 centri pubblici italiani di riferimento. Lo studio ha raccolto i dati di 8.326 pazienti, 62% affetti da RRMS, 23% da SPMS, 9% da PPMS e 6% da CIS. Il costo medio per diagnosi (su 694 pazienti) è stato di 1.236 €/pz con ampia variabilità tra i centri. Il costo diretto sanitario annuale medio, stimato in 9.269 €/pz, è prevalentemente influenzato dal costo dei farmaci impiegati, che in questo studio rappresentano la voce principale di spesa a carico del SSN per un valore di € 7.682 (Tabella II). L’uso di DMT biologici (interferoni, GA e natalizumab), rispetto ai non biologici (mitoxantrone, azatioprina, metotressato e ciclofosfamide), comporta un incremento della spesa farmaceutica e del costo sanitario totale, ma una riduzione significativa del numero e del costo dei ricoveri e degli esami strumentali, nonché del costo di riabilitazione [14].

Tutti i pazienti

(n = 6.301)

DMT biologici

(n = 5.286)

DMT non biologici

(n = 1.015)

%

%

%

Costo/paziente

9.269

100

10.444

100

3.151

100

Farmaco primario

7.682

82,9

9.107

87,2

260

8,3

Farmaci associati

21

0,2

18

0,2

39

1,2

Visite specialistiche

62

0,7

60

0,6

71

2,3

Riabilitazione

185

2

149

1,4

376

11,9

Esami strumentali e di laboratorio

866

9,3

815

7,8

1.134

36

Ammissioni in ospedale

453

4,9

296

2,8

1.271

40,3

Tabella II. Distribuzione dei costi diretti sanitari medi per paziente nel campione totale e nei sottogruppi trattati con DMT biologici e non biologici (modificata da Berto, 2011 [14])

I risultati degli studi attuati per stimare il costo di malattia e i costi diretti sanitari della SM in Italia complessivamente fanno emergere, da un lato, il rilevante onere per il SSN e per la società e, dall’altro, l’importanza di un adeguato trattamento terapeutico nel limitare i danni e la progressione della malattia, riducendo o rallentando la conseguente perdita di funzionalità sensoriale e motoria e il deterioramento della qualità di vita. In linea teorica, risultati ottimali si possono raggiungere utilizzando farmaci efficaci e ben tollerati, ma anche favorendo una elevata aderenza (compliance) del paziente al trattamento cronico.

Mancata aderenza nella sclerosi multipla: un ostacolo all’efficacia terapeutica

Definizione di aderenza

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’aderenza al trattamento come la misura di quanto la terapia effettuata corrisponda alla prescrizione medica prescritta e concordata [15]. Il tasso di aderenza è tipicamente elevato nei pazienti in condizioni acute, mentre nel corso di patologie croniche è molto più basso e cala drasticamente dopo i primi sei mesi di terapia [16]. In generale, è stato stimato un tasso di aderenza ai trattamenti per condizioni croniche compreso tra il 43 e il 78% [16]. Esistono diversi metodi di valutazione dell’aderenza (diretti e indiretti) ma quelli più utilizzati sono l’autovalutazione del paziente e il calcolo del Medication Possession Ratio (MPR) definito come la percentuale di giorni, all’interno di un determinato periodo di tempo, in cui il paziente ha assunto correttamente il farmaco. Generalmente il paziente viene considerato ad alta aderenza (compliance) quando presenta indici di MPR ≥ 80; per tali valori di MPR, infatti, aumenterebbe la probabilità di ottenere un buon controllo clinico di una condizione cronica [17].

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Figura 3. Tassi di aderenza ai DMT negli studi di Devonshire, Lafata e Treadaway [20-22]

Tassi di aderenza nella sclerosi multipla

L’aderenza a lungo termine è un problema comune a tutti i campi della medicina, ma in particolare nelle patologie croniche come la sclerosi multipla dove la percentuale di aderenza oscilla tra il 60 e l’85% [18]. I DMT utilizzati nel trattamento della sclerosi multipla sono in grado di ridurre lo sviluppo delle lesioni del SNC (Sistema Nervoso Centrale), la frequenza delle esacerbazioni e la disabilità fisica e cognitiva. Tuttavia, il regime di trattamento necessario per l’efficacia di tali farmaci impone somministrazioni parenterali (iniezioni IM o SC) con frequenza variabile a seconda del farmaco e per periodi di tempo molto lunghi. Inoltre i benefici apportati, sebbene clinicamente significativi, non vengono sempre percepiti dai pazienti [19].

In una review del 2008, che ha analizzato i dati relativi a 10 studi sperimentali, condotti per valutare il tasso di aderenza ai DMT nella SM, la percentuale di pazienti aderenti variava dal 54 all’87% a seconda del tipo di studio condotto, dell’intervallo di follow up, del tipo di misurazione di aderenza utilizzata, del decorso della malattia e del DMT somministrato [19]. Tassi di aderenza analoghi sono stati riscontrati anche in altri tre studi [20-22], condotti mediante l’invio di questionari ai pazienti o analizzando i dati presenti in database amministrativi (Figura 3). Sulla base delle evidenze la frequenza di somministrazione sembra essere il fattore determinante di mancata aderenza al trattamento. Una buona aderenza alla terapia è associata anche a un marcato miglioramento della qualità di vita del paziente. In generale un paziente aderente è soddisfatto dei risultati terapeutici conseguiti con il trattamento ricevuto e riferisce una migliore qualità di vita, che riguarda lo stato fisico e mentale (ottimismo per il futuro, assenza di depressione).

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Figura 4. Percentuali di aderenza ai diversi DMT (modificato da Devonshire, 2010 [20])

Aderenza ai DMT

Sebbene la riduzione del tasso di aderenza venga riscontrata in gran parte dei pazienti con SM in trattamento con DMT, vi sono alcune significative differenze tra i farmaci. Uno studio osservazionale multicentrico è stato condotto all’interno del Global Adherence Project (GAP) al fine di valutare il tasso di aderenza al trattamento tra i pazienti con RRMS, mediante la somministrazione di questionari a medici e pazienti [20]. Sono stati valutati i dati relativi a 2.648 pazienti per una media di trattamento di 31 mesi. In generale il 75% dei pazienti è risultato aderente al regime prescritto. Analizzando il farmaco somministrato, è emerso che i pazienti che assumevano IFNβ-1a IM (1 iniezione/settimana) presentavano tassi di aderenza maggiori rispetto agli altri DMT con somministrazioni più frequenti (Figura 4). In generale, infatti, il tasso di aderenza diminuisce con l’aumentare della frequenza di iniezione e nei pazienti che seguono un protocollo di somministrazione settimanale l’aderenza al trattamento è maggiore rispetto a coloro che devono effettuare un’iniezione al giorno [20]. Un’altra indagine multicentrica osservazionale è stata condotta sui pazienti con SM mediante la somministrazione di un questionario [22]. Sono stati analizzati i dati relativi a 708 pazienti che hanno completato i tre periodi di indagine, durante i quali il tasso di non aderenza (definita come la mancanza della somministrazione di un’iniezione nelle ultime 4 settimane) è stato di 39%, 37% e 36%, rispettivamente. Come nello studio precedente anche in questo caso il miglior tasso di aderenza è stato riscontrato con IFNβ-1a IM (Figura 5).

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Figura 5. Tassi di aderenza ai diversi DMT (modificato da Treadaway, 2009 [22])

Fattori favorevoli e sfavorevoli

Nella sclerosi multipla le principali cause di abbandono del trattamento riguardano gli effetti collaterali quali reazioni simil-influenzali, depressione, mal di testa, alterazione esami di laboratorio, stanchezza, mancanza di efficacia percepita, mancato miglioramento o peggioramento della patologia [18]. In un’indagine condotta presso il centro SM dell’Università di Torino su 193 pazienti il tasso di interruzione di terapia è stato del 19%, di cui il 35% ha interrotto durante il primo anno [18]. Le principali cause riportate sono: mancanza di efficacia percepita (62%), decisione del paziente (16%), eventi avversi (14%), ragioni sconosciute (5%), bassa compliance (3%). Nello studio GAP, condotto su 2.648 pazienti, le cause principali dell’abbandono della terapia sono riconducibili alla dimenticanza (50,2%) o alla stanchezza di effettuare l’iniezione, ad altre cause correlate all’iniezione (32%) o a altre cause o eventi avversi (10%) quali stanchezza, sintomi para-influenzali, mal di testa [20]. Anche nello studio di Treadaway e colleghi la causa principale di mancata assunzione è stata la dimenticanza a effettuare l’iniezione (58%), seguita dalla mancanza di voglia di effettuarla (22%) o dalla stanchezza di effettuarla (16%). Altri fattori correlati all’iniezione sono emersi come responsabili di interruzione di somministrazione: reazioni cutanee (5%) e dolore nel sito di iniezione (7%), ansia (3%), assenza di qualcuno che aiuti a effettuare l’iniezione (4%) [22].

Strategie per migliorare l’aderenza

I fattori che influenzano l’aderenza al trattamento sono diversi, ma quelli che appaiono avere un peso maggiore nell’abbandono e nella discontinuità dei trattamenti sembrerebbero essere gli eventi avversi, la percezione di mancata efficacia e le difficoltà legate all’iniezione. Avendo ben chiari quali sono gli ostacoli del paziente a seguire il trattamento, è possibile attuare alcune strategie per educare e supportare il paziente e per aumentare la tollerabilità ai farmaci [23]. Uno studio che ha esaminato l’aspettativa del paziente sul trattamento con IFNβ ha evidenziato che circa il 57% dei pazienti aveva un’aspettativa non realistica soprattutto in merito alla riduzione del tasso di recidive [23]. Per evitare l’abbandono del trattamento a causa di percezione di mancata efficacia è necessario innanzitutto rendere il paziente partecipe della scelta del trattamento, informandolo in modo semplice e chiaro sui reali benefici e sui possibili eventi avversi e/o ostacoli che può incontrare nel corso della terapia. Inoltre, è necessario chiarire il ruolo preventivo dei DMT nei pazienti in stadi precoci della malattia quando non si sono ancora manifestati sintomi evidenti, mentre nei pazienti in stadi avanzati che già presentano segni di disabilità è importante sottolineare che i farmaci hanno lo scopo di ridurre il rischio di recidive e rallentare il decorso della malattia, ma non hanno effetto sui deficit neurologici già esistenti [24]. È importante anche rassicurare il paziente sulla transitorietà degli eventi avversi informandolo su misure e precauzioni da adottare per evitare, per esempio, sindromi para-influenzali e reazioni al sito di iniezione [24]. È stato dimostrato che l’aderenza al trattamento è maggiore se il paziente effettua lui stesso l’iniezione, piuttosto che dipendere da un familiare o da un operatore sanitario. Pertanto è importante che il paziente venga educato e informato sulle tecniche di somministrazione e sulla gestione di eventuali eventi avversi nel corso dell’iniezione [24]. A questo scopo è utile l’utilizzo di device per l’autoiniezione che sono di semplice utilizzo da parte del paziente. Inoltre l’utilizzo di aghi più corti, sottili e appuntiti sono utili nel ridurre il dolore e il fastidio nel sito di iniezione, la paura del paziente per l’iniezione stessa e migliorare l’autonomia di somministrazione. Infine, per migliorare l’aderenza nel paziente con SM è importante creare un network di supporto al quale il paziente possa rivolgersi in caso di difficoltà [23]. Gli infermieri dei centri per la SM svolgono infatti un ruolo importante rendendosi disponibili per il paziente una volta iniziata la terapia e informandolo sui servizi di supporto disponibili nel centro e nella comunità. Rappresentano inoltre un importante punto di riferimento per fornire informazioni relative a eventi avversi, sintomi e comorbilità [23].

Impatto dell’aderenza nel management della SM

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Figura 6. Tassi di ospedalizzazione, visite al PS e recidive nei 12 mesi di follow up (modificato da Tan, 2011 [26])

Rischio di ricaduta e ospedalizzazioni

È stato dimostrato che nei pazienti aderenti al trattamento con immunomodulanti vi è una riduzione del 30% del rischio di recidive a due anni. Una riduzione del tasso di aderenza è infatti associata a una riduzione dell’efficacia della terapia e a un conseguente aumento del rischio di recidive [18]. In uno studio che ha analizzato i dati relativi a 2.388 pazienti con SM è emerso che nei pazienti con un gap terapeutico > 90 giorni il rischio di recidive era doppio rispetto a un gap compreso tra 0 e 10 giorni [25]. L’impatto dell’aderenza ai trattamenti sui tassi di ospedalizzazione, di visite in PS e di recidive è stato indagato anche da uno studio che ha analizzato i dati relativi a 2.446 pazienti in trattamento con DMT, ricavati da un database amministrativo statunitense [26]. Il follow up è stato di 12 mesi dall’inizio del trattamento e un paziente è stato considerato aderente per MPR ≥ 80%. In questo studio il 59,6% dei pazienti è risultato aderente alla terapia. Durante i 12 mesi dall’inizio del trattamento, i pazienti con alta aderenza hanno evidenziato una significativa riduzione delle ospedalizzazioni SM-correlate, rispetto ai pazienti non aderenti (7,8% vs 12%; p < 0,001). Analogamente, il numero di recidive di malattia sono state significativamente minori nel gruppo di pazienti aderenti, rispetto ai non aderenti (17,3% vs 34,7%; p < 0,001), mentre il numero di accessi al PS, sebbene ridotto, non è risultato significativamente inferiore nei pazienti aderenti (8,4% vs 10,5%; p < 0,068) (Figura 6). L’analisi di sensibilità, condotta utilizzando come variabile solo l’indice di trattamento, oltre a confermare i risultati ottenuti nell’analisi principale, ha anche mostrato una riduzione statisticamente significativa del numero di accessi al PS nel gruppo di pazienti aderenti al trattamento (11,5% vs 7,3%; p < 0,001) (Figura 7).

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Figura 7. Analisi di sensibilità (modificata da Tan, 2011 [26])

L’impatto dell’aderenza alla terapia con IFNβ sui tassi di recidive e il consumo di risorse sanitarie è stato indagato anche da uno studio retrospettivo di coorte condotto sui dati provenienti da un database sanitario e relativi a 1.606 pazienti con RRMS [27]. La popolazione in esame è stata suddivisa in aderente o non aderente sulla base dell’MPR: sono stati definiti aderenti alla terapia i pazienti con MPR ≥ 85% in un determinato anno nel corso degli anni di studio (2006-2008). L’MPR medio per tutti i pazienti in trattamento con IFNβ nel corso dei tre anni di studio varia tra il 72% e il 76%. La percentuale di pazienti aderenti (MPR ≥ 85%) dal 2006 al 2008 aumenta dal 27% al 41%, mentre solo il 4% dei pazienti risulta aderente per tutti i tre anni. In generale i pazienti aderenti hanno mostrato un minor rischio di recidive nel corso dei tre anni, rispetto ai pazienti non aderenti, con una differenza statisticamente significativa nell’anno 2006 in cui si è evidenziata una riduzione del rischio dell’11% (RR = 0,89; IC95% 0,81-0,97). Inoltre, dai risultati delle analisi di regressione è emerso che i pazienti aderenti nel 2006 presentano una riduzione del rischio di recidive nel 2007, nel 2008 e in generale nel corso dei tre anni di studio; per i pazienti aderenti nel 2007 il rischio di recidive nel 2008 è dimezzato (p < 0,05) e per i pazienti aderenti nei tre anni la riduzione del rischio di recidive nel periodo 2006-2008 è del 3% (p < 0,05). Per valutare l’effetto incrementale della riduzione dell’aderenza sul rischio di recidive è stata condotta un’analisi di regressione che ha comparato tassi di aderenza pari a MPR ≥ 85% con altre 5 soglie (< 80%, < 75%, < 70%, < 65% e < 60%). Come riportato in Figura 8 i risultati dell’analisi hanno mostrato un graduale aumento del rischio di recidive per ogni riduzione del 5% dell’MPR, in particolare un rischio significativamente maggiore (p < 0,05) è stato riscontrato per MPR < 70%, < 65% e < 60% [27].

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Figura 8. Rischio relativo di recidiva in base al livello di aderenza (modificato da Steinberg, 2010 [27])

In questo studio una migliore aderenza è stata anche associata a una riduzione del numero di visite al Pronto Soccorso nel 2006, nel 2007 e nel periodo 2006-2007, con una riduzione significativa del 22% nel 2008 nei pazienti aderenti nel 2007 (RR = 0,78; IC95% 0,65-0,98). Il tasso di ospedalizzazione segue lo stesso trend con una riduzione del rischio nel corso dei tre anni per i pazienti aderenti nel 2006 e nel 2007. In particolare, la riduzione del 21% riscontrata nel 2007 è risultata statisticamente significativa (RR = 0,79; IC95% 0,65-0,98) [27].

Aderenza e qualità di vita

L’indagine GAP, precedentemente descritta, si è occupata anche di valutare la qualità di vita nei pazienti con RRMS [20]. Dai risultati del MusiQoL (MS International Quality of Life) è emerso che i pazienti aderenti al trattamento erano anche quelli con una migliore qualità di vita. In particolare, rispetto ai pazienti meno aderenti presentavano punteggi maggiori per quanto riguarda il benessere fisico, i sintomi della malattia, le relazioni familiari e con il sistema sanitario, la sfera affettiva e sessuale e le attività quotidiane [20]. Anche lo studio di Treadaway e colleghi, sopra riportato, ha indagato l’associazione tra aderenza al trattamento e qualità di vita [22] mostrando anche in questo caso punteggi migliori nei pazienti che seguivano regolarmente la terapia. I punteggi delle sezioni relative al benessere fisico e mentale del questionario MSQOL-54 (Multiple Sclerosis Quality of Life-54) sono stati infatti pari a 59,7 e 69,5 nei pazienti aderenti contro il 55,2 e 63,1 in quelli non aderenti [22].

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Figura 9. Costi annuali per paziente persistente, discontinuo e in switch (modificato da Szkurhan, 2011 [28])

Aderenza e costi sanitari

Con il progressivo aumento dei costi dei servizi sanitari quali l’ospedalizzazione, le visite al pronto soccorso e ambulatoriali, anche un piccolo incremento della percentuale di pazienti che utilizzano tali risorse può avere un impatto notevole sui budget del SSN. Come evidenziato nei paragrafi precedenti la riduzioni dei tassi di aderenza ai DMT nei pazienti con SM hanno come conseguenza l’aumento del rischio di recidiva di malattia, con conseguente aumento delle risorse sanitarie consumate e infine dei costi sostenuti dal SSN. Lo studio di Tan e colleghi ha analizzato i dati relativi a 2.446 pazienti in trattamento con DMT e ha valutato i costi sanitari associati alla sclerosi multipla [26]. In seguito ad aggiustamento dei risultati sulla base delle caratteristiche demografiche e le differenze al baseline, è emerso un aumento del 22% dei costi associati ai pazienti non aderenti al trattamento. Nel corso dei 12 mesi di follow up, infatti, il costo medio nel gruppo di pazienti non aderenti è aumentato del 28% rispetto al gruppo non aderente ($ 4.348 vs $ 3.380) [26]. L’aumento dei costi sanitari in pazienti, trattati con DMT, discontinui o in switch è stato evidenziato anche da un modello di budget impact presentato al congresso annuale dell’AAN del 2011 [28].

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Figura 10. Costi annui per pazienti in base al farmaco iniziale (modificato da Szkurhan, 2011 [28])

Il modello è stato sviluppato per confrontare i diversi costi sanitari accumulati nel corso di due anni da pazienti con elevata aderenza (gap somministrazione primo DMT < 90 gg), bassa aderenza e discontinui (gap > 90 gg) o passati a un altro DMT entro 90 gg dall’inizio del trattamento con il primo DMT. Il modello considerava i costi associati a ospedalizzazione, visite ambulatoriali, accessi al pronto soccorso ed esecuzione di RMN. I risultati hanno evidenziato un costo medio annuo pari a 6.266 $/pz in coloro che continuavano la terapia iniziale e un graduale aumento in quelli discontinui (+33%) e in quelli che sono passati a un altro farmaco (+65%) (Figura 9). Lo studio, inoltre, confrontando i costi dei pazienti in relazione al DMT usato in prima linea, ha evidenziato che la scelta di IFNβ-1a IM era quella più conveniente. Il costo annuo per paziente infatti aumentava del 3% in caso di inizio di terapia con GA e del 6% con IFNβ-1b (Figura 10).

L’associazione tra scarsa aderenza e aumento del rischio di recidiva con conseguente incremento dei costi sanitari è stato indagato anche utilizzando i dati di 1.148 pazienti con SM trattati con DMT presenti nel database di una compagnia assicurativa statunitense. Nel corso dei due anni di analisi si è evidenziato un aumento del rischio di recidive gravi (quelle, cioè, che richiedono una visita in PS oppure ospedalizzazione) nei pazienti non aderenti, rispetto a quelli aderenti al trattamento (19,9 vs 12,4) e un conseguente aumento dei costi, diretti e indiretti, di circa $ 2.543 nei pazienti non aderenti ($ 16.638 vs $ 14.095), incremento dovuto principalmente all’aumento dei tassi di ospedalizzazione (12,5% vs 7,6%) e di visite in pronto soccorso (15% vs 8,9%) [29].

Voci di costo

In trattamento (n = 3.199)

Trattamento discontinuo (n = 1.917)

Switch (n = 656)

Visite ambulatoriali ($)

3.480

4.329,56

6.473,84

Visite PS ($)

66,67

101,13

141,01

Ospedalizzazioni ($)

1.087,79

1.824,05

2.505,61

RMN ($)

687,89

553,81

842,02

Tabella III. Costi delle risorse sanitarie non farmacologiche consumate nel corso dei 18 mesi di follow up nelle tre categorie di pazienti [30]

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Figura 11. Costi sanitari totali (non farmaceutici) nei 18 mesi di follow up (modificato da Reynolds, 2010 [30])

Reynolds e colleghi, analizzando il database della PharMetrics Patient-Centric, hanno stimato i costi sanitari indotti in 18 mesi da pazienti con SM trattati con DMT, correlando i costi alla condizione di discontinuità del trattamento o di cambio di terapia [30]. Il campione dei pazienti inclusi nello studio comprendeva 2.019 soggetti trattati con IFNβ-1a IM, 576 con IFNβ-1b SC, 2.081 con GA e 1.096 con IFNβ-1a SC. Le percentuali di persistenza hanno evidenziato che il 55% dei pazienti continuava il trattamento con il farmaco iniziale, il 33% ha avuto un trattamento discontinuo per almeno 90 gg e l’11% era passato a un altro farmaco (switch). In generale i pazienti in trattamento con IFNβ-1b SC presentavano un rischio 2,5 maggiore di discontinuità rispetto ai pazienti in trattamento iniziale con IFNβ-1a IM, mentre per GA e IFNβ-1a SC l’aumento del rischio era del 10% e del 5%, rispettivamente. Come riportato in Tabella III e in Figura 11 i costi associati al consumo di risorse sanitarie non farmacologiche sono stati inferiori nei pazienti che hanno mantenuto il farmaco iniziale ($ 9.399), mentre i pazienti che sono passati ad un altro farmaco hanno presentato i costi maggiori ($ 15.532; +65%), seguiti dai pazienti in trattamento discontinuo ($ 12.551; +33,5%).

Conclusioni

La SM è una malattia con elevati costi sanitari e sociali a causa delle sue caratteristiche cliniche (esordio in età giovane-adulta, decorso clinico recidivante con elevata incidenza di disabilità) e assistenziali (necessità di assistenza). Specialmente nella forma più diffusa caratterizzata da recidive e remissioni (RRMS), la SM rappresenta un importante onere per il SSN e la società con un costo di malattia annuo per l’Italia stimato in circa 1,5 miliardi di euro [30]. I costi della SM inoltre aumentano con il decorso della malattia e il progressivo aggravamento dei sintomi, il costo totale medio per paziente varia infatti di circa 5-6 volte passando dal valore di € 12.000 (per EDSS = 0-1) al valore di € 57.000 e € 71.000 per EDSS pari, rispettivamente, a 7 e 8. Alla luce di ciò appare evidente l’importanza di interventi terapeutici nelle fasi precoci della malattia, volti a ridurre il rischio di recidive e a prevenire o ridurre lo sviluppo di disabilità permanenti. I DMT, introdotti nell’armamentario terapeutico della RRMS negli ultimi 15 anni, se impiegati in modo continuativo fin dalla diagnosi della malattia si sono dimostrati efficaci nella riduzione del rischio di recidive, nel rallentamento della progressione della malattia, nella riduzione del consumo di risorse sanitarie, specialmente di ricoveri ospedalieri, con un sensibile risparmio sui costi sanitari. Elevati tassi di aderenza alla terapia con DMT sono stati infatti associati non solo a migliori performance cliniche, ma anche a una sensibile riduzione dei costi associati al consumo di risorse sanitarie. Nei pazienti non aderenti infatti il costo medio annuo aumenterebbe del 28%, rispetto ai pazienti aderenti [26]; inoltre è stato stimato che, rispetto ai pazienti in trattamento, nei pazienti in trattamento discontinuo e in coloro che sono passati ad altro farmaco i costi sanitari aumentano circa del 33,5% e del 65%, rispettivamente, a causa dell’aumento di visite ambulatoriali e di ospedalizzazioni [28,30]. Lo schema terapeutico va pertanto scelto sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente e del profilo di sicurezza e tollerabilità dei farmaci tenendo però anche conto delle modalità e della frequenza di somministrazione. È stato infatti dimostrato che i pazienti più aderenti allo schema farmacologico prescritto hanno un rischio minore di recidive in un arco temporale di 3 anni [27]. Gli studi presi in rassegna hanno dimostrato che tra gli interferoni indicati per la SM l’interferone β-1a IM, in virtù della minore frequenza di somministrazione (1 iniezione/settimana) e del minor rischio di reazioni al sito di iniezione, è associato a una migliore compliance e a risparmi più elevati della spesa sanitaria. È stato infatti stimato che il costo annuo per paziente in coloro che iniziano la terapia con GA o IFNβ-1b aumenta, rispettivamente, del 3% e del 6%, rispetto ai pazienti che iniziano la terapia con IFNβ-1a IM [28]. I fattori che riducono l’aderenza alla terapia o ne impongono la variazione, dovrebbero pertanto essere parte integrante del processo decisionale che porta alla scelta terapeutica dei DMT, nel tentativo di ottimizzare l’aderenza alla terapia, ritardare l’insorgenza della disabilità fisica e ridurre così l’impatto per il SSN.

Considerazioni sull’Italia

Tutti gli studi che, inclusi in questa rassegna, hanno analizzato la correlazione tra aderenza alla terapia con DMT e conseguenze sugli esiti clinici ed economici della SM sono stati condotti su campioni di pazienti trattati in altre nazioni. Nessun analogo studio ci risulta sia stato condotto finora in Italia. Tuttavia, possiamo ritenere estrapolabili anche al setting assistenziale italiano i risultati delle analisi farmacoeconomiche incluse nella presente rassegna. In particolare, possiamo ritenere confrontabili le distribuzioni percentuali dei fenotipi di SM, dei livelli di disabilità (score EDSS) e dei tassi di progressione della malattia osservate in Italia con quelle registrate nei paesi che hanno fornito i dati per gli studi inclusi in questa rassegna. Analogamente, non vi sono motivi per ritenere non valide anche per i pazienti italiani le correlazioni osservate in altre nazioni tra grado di aderenza alla terapia e aumento del rischio di recidive, accelerazione della progressione della malattia e della disabilità, deterioramento più rapido della qualità di vita, incremento dei costi diretti sanitari e non sanitari e dei costi indiretti. D’altra parte, il grado di aderenza alla terapia cronica dei pazienti italiani non risulta essere mediamente differente da quella osservata in altri paesi, sia pure con una ampia variabilità interindividuale correlabile a una molteplicità di variabili individuali, socio-culturali e assistenziali. I pazienti affetti da SM in Italia sono assistiti da una buona rete di centri neurologici gestiti da medici con grande esperienza specialistica per questa patologia. Pertanto non possiamo ritenere che differenze significative nella qualità del rapporto medico-paziente possa costituire una variabile importante nel condizionare differenze di aderenza alla terapia in questi pazienti. Differenze sensibili sono presenti nell’assetto organizzativo-assistenziale delle diverse Regioni italiane, ma tali differenze verosimilmente incidono maggiormente sulla reale facilità di accesso ai farmaci innovativi piuttosto che sulla compliance del paziente.

Nella recente analisi di Berto e colleghi, condotta su pazienti italiani con RRMS, IFNβ-1a IM rappresenta il DMT biologico più frequentemente utilizzato. Inoltre, analogamente all’intera classe di DMT biologici, IFNβ-1a IM è più frequentemente usato nei pazienti con bassi livelli di disabilità, e progressivamente meno utilizzato nei pazienti più compromessi per lo stadio avanzato della malattia. Gli studi clinici esaminati indicano che in questa condizione è particolarmente importante attuare il trattamento in modo costante e continuativo per ottenere i massimi benefici terapeutici e ridurre i rischi di recidive e di progressione della malattia verso livelli elevati di disabilità, risparmiando nel contempo preziose risorse sanitarie. Poiché alcuni recenti studi hanno dimostrato che l’uso di IFNβ-1a IM comporta una migliore aderenza alla terapia e un sensibile risparmio sui ricoveri, sulle visite ambulatoriali e anche sugli accessi al PS, è auspicabile che in Italia l’utilizzo di IFNβ-1a IM diventi sempre maggiore. In questo modo, si può ipotizzare che si possa ottenere un sensibile risparmio sui costi diretti sanitari che gravano sul SSN, come è stato osservato in alcuni studi stranieri in cui l’aderenza al trattamento è stata associata a una riduzione dei costi medi annui per paziente compresa tra il 33 e il 65% [28,30]. Ovviamente per confermare e validare tale ipotesi anche nella realtà italiana sono necessarie ulteriori indagini e analisi farmacoeconomiche specifiche.

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