Efficacia della terapia con fidaxomicina in un caso di colite da C. difficile in paziente con rettocolite ulcerosa dopo fallimento della precedente terapia con vancomicina orale
Carlo Tascini 1, Federico Corti 2, Gualtiero Bottari 3, Paola Lambelet 4
1 U.O. Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa
2 U.O. Gastroenterologia, Ospedale Unico della Versilia, Lido di Camaiore, Lucca
3 U.O. Farmacia, Ospedale Unico della Versilia, Lido di Camaiore, Lucca
4 U.O. Medicina, Ospedale Unico della Versilia, Lido di Camaiore, Lucca
Abstract
Patients with inflammatory bowel diseases (IBDs) have greater risk of developing C. difficile infection (CDI). In these patients, CDI have worse outcome, may be associated with increased risk of bacteremia and candidemia and may be misdiagnosed as relapse of IBD, also because of the absence of typical findings of CDI at colonoscopy.
A 58-year-old man with acute ulcerative colitis treated with steroids was hospitalized for fever and recrudescence of inflammatory diarrhea. During the hospitalization, the fever was treated with broad spectrum antibiotics and systemic anti-fungal therapy. Candida mannan antigen and the molecular screening for C. difficile resulted positive. A first course of vancomycin by mouth was unsuccessful, therefore we started a 10-day course of fidaxomicin. After five days of therapy, diarrhea disappeared. A few-week course of fluconazole therapy was performed to complete the treatment of invasive candidiasis. At six-month follow-up no relapse of CDI was documented.
Keywords: Clostridium difficile colitis; Inflammatory bowel disease; Fidaxomicin; Ulcerative colitis
Efficacy of fidaxomicin therapy, after failure of vancomycin therapy, for treating a C. difficile colitis in a patient with ulcerative colitis
CMI 2015; 9(Suppl 1): 7-10
http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v9i1s.955
Caso clinico
Disclosure
Il presente supplemento è stato realizzato con il supporto di Astellas Pharma S.p.A.
Perché descriviamo questo caso
L’infezione da C. difficile è molto grave nei pazienti con malattie croniche infiammatorie intestinali. La terapia consigliata è vancomicina orale, ma la percentuale di recidive e di forme gravi che necessitano di chirurgia rimane elevata. Nei casi più gravi o nei casi di fallimento di vancomicina, fidaxomicina potrebbe essere una valida alternativa
Introduzione
Il microbioma umano contiene circa 1014 batteri e più di 1.000 specie batteriche. L’alterazione del microbioma intestinale (disbiosi) è legata a molte condizioni gastrointestinali. La disbiosi può essere molto importante nelle malattia infiammatoria cronica intestinale (Inflammatory Bowel Disease – IBD), in quanto potrebbe essere implicata sia nella patogenesi, sia nella generazione di quadri di gravità della malattia, correlando con la formazione di ascessi e la necessità di interventi chirurgici [1,2].
D’altro canto, anche l’infezione da C. difficile viene favorita dalla perdita dell’equilibrio del microbioma causato dall’uso di antibiotici [3].
L’infezione da C. difficile (CDI) nei pazienti con IBD presenta alcune caratteristiche peculiari rispetto a quella contratta dai pazienti senza IBD:
La difficoltà clinica nel distinguere una riacutizzazione di IBD da una CDI risiede nella somiglianza dei sintomi: infatti entrambe si presentano con diarrea, dolore addominale, febbre e leucocitosi.
Caso clinico
Descriviamo il caso clinico di un uomo di 58 anni al quale viene diagnosticata una rettocolite ulcerosa (RCU) a luglio 2013. Viene trattato per due mesi con mesalazina topica e beclometasone per via sistemica. Viene ricoverato alla fine di settembre 2013 per febbre. Le emocolture e l’urinocoltura risultano negative, così come la ricerca del DNA del citomegalovirus (CMV) su sangue periferico e sulla biopsia rettale. Il paziente viene trattato con piperacillina/tazobactam e steroidi per uso sistemico (metilprednisolone 80 mg/die) con miglioramento del quadro endoscopico e viene dimesso dopo 10 giorni di ricovero con terapia con ciprofloxacina per 7 giorni.
Farmaco usato |
Tempo in terapia |
Risoluzione diarrea |
Vancomicina |
10 giorni |
No |
Fidaxomicina |
10 giorni |
Sì, dopo 5 giorni |
Tabella I. Schema relativo all’andamento della diarrea in relazione ai farmaci usati
Dopo circa 20 giorni, il paziente presenta di nuovo febbre e peggioramento della diarrea e viene ricoverato. Durante il ricovero, l’urinocoltura risulta positiva per E. coli produttore di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL). I globuli bianchi sono 20.000/ mm3 con 80% di neutrofili. Viene istituita una terapia endovenosa con ertapenem 1 g al giorno per 7 giorni. Per la positività dell’antigene (Ag) mannano di Candida (910 pg/ml) viene iniziata una terapia con caspofungina, partendo con una dose di carico di 70 mg e proseguendo con una dose giornaliera di 50 mg.
L’Ag Candida è diventato negativo dopo 15 giorni di terapia con caspofungina.
Un test molecolare per la ricerca della tossina di C. difficile risulta positivo, pertanto viene instaurata una terapia con vancomicina orale alla dose di 125 mg ogni 6 ore.
Il paziente viene dimesso con vancomicina e fluconazolo.
La diarrea a domicilio è persistita nonostante 10 giorni di tale terapia, pertanto viene decretato il fallimento di vancomicina e viene intrapresa una terapia con fidaxomicina 200 mg ogni 12 ore per 10 giorni. La diarrea si è risolta in quinta giornata (Tabella I).
Il paziente ha poi completato 2 settimane di terapia con fluconazolo orale, la RCU è stata trattata con terapia topica con mesalazina e terapia steroidea a scalare.
A 6 mesi di follow-up il paziente non ha presentato recidiva né di colite da C. difficile né dell’infezione invasiva da Candida.
Domande da porsi di fronte a questo caso
Discussione
I pazienti con IBD, e specialmente quelli con RCU, hanno forme più gravi di colite da C. difficile. In particolare la RCU è gravata da percentuali di colectomia del 27% e di recidiva a 30 giorni del 24% [13,14]. Inoltre la terapia con vancomicina è più efficace rispetto a metronidazolo, ma nei casi più gravi (leucocitosi > 15.000/mm3 e albumina < 2,5 g/dl) le colectomie nei pazienti trattati con vancomicina sono del 30% circa [13,14]. In uno studio monocentrico, vancomicina come terapia di attacco ha ridotto la percentuale di colectomia dal 45% al 25%: un quarto dei pazienti con IBD e CDI, cioè, veniva comunque sottoposto a intervento chirurgico [15].
Quindi nei pazienti IBD con forme gravi o che non rispondono alla terapia con vancomicina, può essere indicato l’uso di fidaxomicina.
Il nostro caso ha permesso di verificare l’efficacia di fidaxomicina in un paziente con una forma grave che non aveva risposto a vancomicina. Il trattamento con fidaxomicina ha inoltre permesso il trattamento domiciliare e ha evitato la ri-ospedalizzazione.
Per le informazioni in nostro possesso, questo sarebbe il primo caso di un paziente con IBD trattato con fidaxomicina. Pertanto si potrebbe ipotizzare di usare fidaxomicina come terapia di prima linea nei casi di CDI associati a IBD: tale terapia potrebbe ridurre i casi di recidiva e i casi che vengono sottoposti a intervento chirurgico.
Inoltre spesso i pazienti con IBD e riacutizzazione di malattia hanno febbre e sono di conseguenza trattati con terapia antibiotica sistemica ad ampio spettro. Se dovesse insorgere una CDI, il farmaco che permette una percentuale di cura maggiore quando la terapia antibiotica sistemica non si può sospendere è fidaxomicina [16].
Infine si deve ricordare come negli studi registrativi di fidaxomicina uno dei criteri di esclusione fosse proprio la IBD: pertanto non vi sono dati sull’efficacia di tale molecola in questo setting. In ogni caso, questi soggetti, che sono sottoposti a una forte immunosoppressione, potrebbero giovarsi della terapia con fidaxomicina, che è in effetti particolarmente utile nell’evitare le recidive nei pazienti immunosoppressi. In ultimo, la capacità di fidaxomicina di rispettare la normale flora intestinale potrebbe ulteriormente giovare ai pazienti con IBD. Nei pazienti con IBD, la colite da C. difficile dovrebbe essere affrontata in modo aggressivo.
Punti chiave
Ringraziamenti
Gli Autori ringraziano il paziente, che ha fornito il consenso informato alla pubblicazione del caso clinico.
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