Utilizzazione di nilotinib nella pratica clinica: monitoraggio dell’efficacia e della tollerabilità
Giorgina Specchia 1
1 Dipartimento dell'Emergenza e dei Trapianti di Organi, U.O. Ematologia con Trapianto, Bari
Editoriale
L’introduzione degli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI) nel trattamento della LMC ha profondamente modificato la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti; imatinib è stato il primo attore della “rivoluzione” della storia naturale di tale patologia. Infatti grazie alla sua selettiva inibizione del dominio tirosin-chinasico inibisce la proliferazione di Bcr-Abl e induce l’apoptosi delle cellule Ph+.
Lo studio IRIS, arrivato ormai a 10 anni di follow up, ha sancito l’efficacia indiscutibile di questo inibitore di prima generazione in termini di risposta citogenetica e risposta molecolare e ha consentito di acquisire informazioni importanti sulla resistenza (mutazioni, ecc.), sulla tollerabilità e sul management degli effetti collaterali [1,2].
Sia lo studio IRIS che altri trial clinici con imatinib in prima linea a dose standard o ad alte dosi hanno poi fornito le basi per definire le prime raccomandazioni ELN 2006 e le successive 2009 relativamente alla tipologia di risposta (ottimale, subottimale e failure) e ai diversi timing della stessa [3,4].
Un’altra informazione rilevante derivata dall’uso di imatinib è stata quella di dimostrare che le risposte citogenetiche e molecolari precoci sono predittive dell’outcome e quindi della PFS (Progression Free Survival) e della OS (Overall Survival) a lungo termine [5].
Tuttavia, da tutti gli studi emerge anche che, nel tempo, durante il trattamento con imatinib, una quota variabile dei pazienti (45-50%) sviluppa resistenza o intolleranza di diverso grado. È noto che i numerosi meccanismi di resistenza possono essere distinti in due tipi:
1) meccanismi Bcr-Abl dipendenti, quando le cellule resistenti al farmaco dimostrano un’elevata attività tirosinchinasica per: amplificazione genica, overespressione della p-glicoproteina, sequestro di bcr-abl nel citoplasma, evoluzione citogenetica clonale, overespressione della α1-glicoproteina acida, mutazioni puntiformi.
2) meccanismi Bcr-Abl indipendenti, quando invece le cellule resistenti acquisiscono resistenza per altri eventi biologici: acquisizione di eventi oncogenici aggiuntivi oppure attivazione di percorsi di trasduzione del segnale alternativi, che rendono la crescita delle cellule leucemiche Ph+ indipendenti dall’attività tirosin-chinasica di Bcr-Abl.
Nonostante diversi siano i meccanismi che possono intervenire nella resistenza a imatinib, le mutazioni puntiformi sono quelle più frequentemente descritte, forse perché più facilmente identificabili; infatti la valutazione dello status mutazionale di un paziente che abbia una resistenza (failure) o una risposta subottimale a imatinib è entrato nella pratica clinica poiché tale informazione può fornire spesso un contributo prezioso per una più razionale e mirata gestione terapeutica dei pazienti soprattutto dopo l’avvento di altri TKI.
Lo sviluppo, dopo il 2003, degli inibitori TK di seconda generazione (nilotinib e dasatinib), dotati di maggiore selettività per il dominio tirosinchinasico e quindi molto più potenti di imatinib, sia in vitro (linee cellulari) sia in vivo (seconda linea) [6], ha consentito di recuperare i pazienti che sviluppano resistenza o presentano intolleranza a imatinib.
Diversi studi clinici hanno dimostrato che l’utilizzazione di tali inibitori consente di riottenere remissioni citogenetiche e molecolari sia nei pazienti resistenti sia in quelli intolleranti e che tanto minore è il tempo intercorrente fra l’insorgenza della resistenza o intolleranza e lo switch terapeutico, migliore è la risposta alla terapia di seconda linea [7].
Lo studio ENACT, ad esempio, che prevedeva l’utilizzo di nilotinib al dosaggio di 400 mg BID in pazienti con LMC in fase cronica o accelerata resistenti a terapia con imatinib ha dimostrato una efficacia significativa, con il raggiungimento della risposta citogenetica maggiore e della risposta citogenetica completa nel 45% e 34% dei pazienti rispettivamente; queste risposte sono state più rapide (entro il 6° mese di trattamento) e in proporzioni maggiori nei pazienti con risposta subottimale a imatinib (75% e 50%). Dopo 18 mesi di trattamento la PFS è stata dell’80%, con una bassissima tossicità ematologica ed extraematologica di grado 3-4 [8].
I pazienti che per intolleranza a imatinib determinata da effetti collaterali quali ritenzione idrica (edemi periorbitari e aumento ponderale), alvo irregolare, alopecia, rash cutanei, crampi muscolari, neutropenia, ecc, hanno ricevuto terapia con nilotinib, non hanno presentato cross intolleranza e quindi il management anche dei pazienti anziani e con altre comorbidità è stato abbastanza agevole. Non deve essere sottovalutata però la possibile cardiotossicità dei TKI sia di 1° sia di 2° generazione, anche se su ampie casistiche è stato evidenziato che la tossicità cardiologica è un evento possibile ma molto raro [9-13].
Un’altra delle problematiche da valutare soprattutto nei pazienti anziani è rappresentata dalla frequente presenza di diverse patologie concomitanti (diabete, cardiopatie, patologie polmonari, ecc.) e di eventuali altre terapie già assunte dal paziente per le possibili interazioni farmacologiche con i TKI.
Sono stati condotti diversi studi di farmacocinetica che, partendo da valutazioni in vitro, ci hanno indicato i meccanismi con cui i TKI agiscono, attraverso metabolismo da parte del citocromo epatico P450 3A4. Questa via metabolica infatti è comune a diversi altri farmaci che possono interferire come induttori, competitori o inibitori, incrementando o riducendo la quantità di TKI inattivo. In caso di altre terapie concomitanti è necessario uno stretto monitoraggio del paziente, che potrebbe richiedere un aggiustamento posologico della terapia in rapporto alle potenziali interazioni farmacologiche; molte conoscenze su tali interazioni derivano anche da sub-analisi nell’ambito di studi clinici.
Informazioni sulla safety dei farmaci e sulla gestione degli effetti collaterali provengono sia dagli studi clinici sia da una lunga esperienza di pratica clinica ormai acquisita negli anni; conoscere gli effetti collaterali e la loro gestione è oggi fondamentale per la scelta del trattamento “disease and patient oriented” alla luce anche della disponibilità dei diversi TKI.
Di rilevanza attuale sono soprattutto i dati di efficacia ottenuti dagli studi di nilotinib in prima linea, che hanno dimostrato che nilotinib rispetto a imatinib induce risposte molecolari più rapide e profonde. Lo studio registrativo ENESTnd infatti, nel follow up a 36 mesi ha evidenziato un notevole vantaggio in termini di risposte molecolari maggiori e profonde nel braccio sperimentale con nilotinib 300 mg BID rispetto a imatinib: MMR 73% vs 53%; MR4 50% vs 26% e MR4.5 32% vs 15% rispettivamente [14].
Diversi studi hanno dimostrato il valore prognostico, in termini di sopravvivenza, dell’ottenimento di una risposta molecolare rapida e profonda in corso di terapia con i TKI. In particolare è stato osservato che ottenere a tre mesi di trattamento una riduzione del trascritto molecolare fino al 10% correla positivamente con la OS, PFS e con la possibilità di mantenere nel tempo risposte citogenetiche complete [15,16]. Questo importante cut off del 10% a 3 mesi e il suo valore prognostico è stato valutato anche per i pazienti dello studio registrativo ENESTnd, confermando che il raggiungimento di un trascritto inferiore al 10% a 3 mesi e inferiore all’1% a 6 mesi si traduce in un vantaggio in termini di sopravvivenza e anche in termini di incidenza cumulativa di risposte molecolari maggiori e profonde a 4.5 log a lungo termine fino a 48 mesi. Il dato interessante è che a 3 mesi il 90,7% dei pazienti in trattamento con nilotinib 300 mg BID ha raggiunto un trascritto molecolare inferiore al 10% e il 56.2% ha ottenuto un trascritto inferiore all’1%, mentre nel braccio di trattamento con imatinib questa quota di pazienti si riduce al 66,7% e al 16,3% rispettivamente [14,17].
A questi dati se ne aggiunge un altro di non minore rilevanza nella storia della LMC, ossia la riduzione del rischio di progressioni in fasi avanzate di malattia (Fase Accelerata e Fase Blastica). Nello studio ENESTnd lo 0,7% dei pazienti nel braccio nilotinib a 300mg/BID vs 4,2% dei pazienti nel braccio imatinib progredisce nei primi due anni di terapia in fasi avanzate di malattia e nessuna evoluzione si è osservata fra il secondo e il terzo anno di trattamento [14].
In tutti gli studi viene confermata la rilevanza dello stretto monitoraggio citogenetico e molecolare in accordo alle raccomandazioni (ELN2009, ESMO e le ultimissime ELN 2013) in termini sia di timing che di qualità/quantità delle risposte per predire la PFS e la OS.
Vista l’importanza del monitoraggio molecolare nella decisione clinica, è fondamentale non solo avvalersi di un’accurata RT-PCR quantitativa ma anche di un’analisi standardizzata secondo la scala internazionale (IS) e adottata nei diversi laboratori che utilizzano tecniche e processi standardizzati. In Italia, grazie al Progetto Labnet, è possibile avere una uniformità nella qualità dei dati molecolari e nella valutazione della presenza in alcuni casi di specifiche mutazioni responsabili della resistenza.
Oggi l’obiettivo più ambizioso nell’era dell’uso dei TKI di 2° generazione in prima linea nel trattamento dei pazienti con LMC è rappresentato dal “Path to Cure” cioè la possibilità di interrompere il trattamento, sempre nell’ambito però di studi clinici prospettici controllati, nei pazienti che hanno raggiunto una risposta molecolare definita come MR4,0 e/o MR4,5 e che hanno mantenuto per almeno 24 mesi. Diversi trials nel mondo sono stati avviati per valutare la reale possibilità di discontinuare il trattamento soprattutto nei pazienti giovani.
I casi riportati in questo numero di Clinical Management Issues sono un esempio di quanto spesso ci troviamo ad affrontare nella reale pratica clinica, utilizzando però anche le informazioni derivate dai numerosi trials clinici e applicando le raccomandazioni ELN.
Il caso della dottoressa Roncoroni e il caso della dottoressa Tomaselli sono di particolare interesse in quanto descrivono rispettivamente il difficile management di un paziente di 75 anni e di un paziente di 64 anni “fragili” con numerose comorbidità (diabete, ipertensione arteriosa, dislipidemia, BPCO e cardiopatia ischemica) che necessitano di diversi trattamenti farmacologici con possibili interazioni farmacologiche.
Il buon management clinico ha consentito di modulare e/o modificare le terapie per le comorbidità anche in rapporto alle interazioni farmacologiche con gli inibitori delle tirosin-chinasi e anche per altri eventi clinici severi (edema polmonare) e di garantire al paziente il trattamento con nilotinib per il raggiungimento di una risposta ottimale senza tossicità rilevanti. Inoltre emerge come sia necessario interagire con gli altri specialisti (cardiologi, diabetologi) per il management clinico-terapeutico delle comorbidità.
Il caso del dottor Pietrantuono riporta invece una paziente con una storia di 10 anni di LMC trattata prima con imatinib a dose standard, e poi con dosi elevate di imatinib per assenza di risposta citogenetica. Successivamente nell’ambito di uno studio clinico è stata trattata con nilotinib e poi, per sviluppo di resistenza e sulla base dei risultati dell’analisi mutazionale, con dasatinib ma per la perdita successiva della risposta ematologica e la presenza di una nuova mutazione è stato ripreso nilotinib in quarta linea. Questo “percorso razionale” di trattamento in rapporto al monitoraggio molecolare e ai risultati dell’analisi mutazionale è un valido modello di come monitorare un paziente con LMC e di continuare il trattamento con i TKI.
Nel caso della dottoressa Russo Rossi viene descritto un paziente trattato nella pratica clinica con nilotinib in prima linea al dosaggio di 600 mg/die e giunto a un follow up di 12 mesi. Già dopo i primi tre mesi di trattamento il paziente ha raggiunto una risposta citogenetica completa (CCR) e un valore di trascritto BCR-ABL/ABL pari a 0,749 IS quantificabile secondo RT-PCR quantitativa non solo inferiore al 10% ma anche inferiore all’1% rispetto alla quantità di trascritto alla diagnosi. Il paziente ha poi proseguito con una costante riduzione del trascritto molecolare nel tempo raggiungendo, dopo 12 mesi di trattamento, una risposta molecolare profonda (MR4). In questo paziente trattato in prima linea con nilotinib, al di fuori di trial clinici, si evidenzia come una risposta precoce (3° mese) e profonda (inferiore all’1%) continui al 12° mese con una MR4 e con una buona tollerabilità, quindi con una buona qualità della vita del paziente. Inoltre si conferma il ruolo rilevante della disponibilità di un laboratorio accreditato LABNET che produce dati standardizzati e riproducibili. I dati degli studi e le landmark analysis presentate ad oggi confermano il valore prognostico di risposte precoci e profonde per l’outcome del paziente a lungo termine aprendo la possibilità ad interrompere il trattamento una volta ottenute risposte complete e durature.
I quattro casi riportati sono di particolare interesse sia perché riportano l’esperienza sul management terapeutico a volte non semplice per la presenza di certe comorbidità, sia perché dimostrano come lo stretto monitoraggio citogenetico-molecolare-mutazionale si traduca in un vantaggio importante sulla durata e qualità della vita dei pazienti.
Bibliografia
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